ott142020
Voluntary disclosure e false dichiarazioni. Può configurarsi il delitto di autoriciclaggio? (Cass. Pen. n. 14101/2019)
Integra il reato di autoriciclaggio la condotta del contribuente che nella voluntary disclosure dichiara il falso, regolarizzando beni che in realtà non erano all’estero, ma già in suo possesso in Italia?
Ai fini della soluzione della questione, è opportuno introdurre brevi nozioni sia sull'istituto della cd. volontari disclosure sia del reato di autoriciclaggio.
LA VOLUNTARY DISCLOSURE
La Collaborazione volontaria (cd. Voluntary Disclosure), introdotta con la L. n. 186/2014, è una procedura con cui il contribuente, autodenunciandosi, dichiara al fisco "attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato" non indicate nella dichiarazione (art. 5 quater/1 lett. a): cd nero transfrontaliero), ovvero redditi occultati in Italia (art. 1/2-3-4 Legge cit.: cd. nero domestico).
Gli effetti della corretta presentazione dell'autodenuncia sono molteplici, ma, i più importanti possono essere così riassunti:
a) regolarizzazione della propria situazione patrimoniale e reddituale;
b) corresponsione integrale delle imposte e degli interessi relativi ai redditi non dichiarati;
c) riduzione delle sanzioni amministrative applicabili;
d) non punibilità dei reati: dl) di omessa o infedele dichiarazione, di dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, di omesso versamento di ritenute certificate, di omesso versamento IVA; d2) di cui agli artt. 648 bis, 648 ter e 648 ter 1 c.p..
Ove la dichiarazione sia infedele, l'Agenzia delle Entrate esercita nuovamente il suo autonomo potere di accertamento con la revoca ex tunc dei suddetti benefici (art. 5 quinquies/10).
IL DELITTO DI AUTORICICLAGGIO
Il reato di autoriciclaggio è configurabile ove l'agente che abbia commesso un delitto non colposo presupposto, abbia, successivamente, impiegato, sostituito, trasferito, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
Quindi, gli elementi materiali del suddetto delitto sono:
a) la commissione di un delitto non colposo;
b) che dal suddetto delitto sia derivato un provento (denaro, beni o le altre utilità) economicamente apprezzabile;
c) che il suddetto provento sia stato reinvestito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative;
d) che l'operazione di reinvestimento abbia costituito un ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del provento del reato presupposto.
Dalla commissione del reato presupposto, l'agente deve avere conseguito "un provento" di natura economica (denaro, beni, o altre utilità), che abbia "riciclato" al fine di non rendere riconducibile quella ricchezza al delitto compiuto.
Proprio questa peculiarità (e cioè l'incremento del patrimonio come effetto diretto del delitto commesso), aveva fatto sorgere il problema della configurabilità del delitto di autoriciclaggio nel caso in cui il reato presupposto fosse costituito da un reato tributario che, di per sè, non determina alcun accrescimento del patrimonio dell'agente.
LA SOLUZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La soluzione da fornire al quesito proposto non può che articolarsi in termini negativi.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’eventuale integrazione del reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero previsto dall’art. 5-septies del D.L. n. 167/1990, forniti dal contribuente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (c.d. “Voluntary Disclosure”, introdotta con la L. n. 186/2014), non possa generare come “provento autoriciclato” quegli stessi beni che erano già esistenti e dichiarati sebbene falsamente, come collocati all’estero (Cass. pen., Sez. II, 1 aprile 2019, n. 14101)
Il preteso reato presupposto (il falso) non ha generato (e non può generare) alcun provento, in quanto i beni oggetto della falsa dichiarazione fanno già parte del patrimonio del contribuente e sono già stati dichiarati nell’ambito della Collaborazione volontaria.
Se il reato di falso consiste nell’avere il contribuente falsamente comunicato nella relazione di accompagnamento alla Voluntary Disclosure che certi beni (oggetto dell’eventuale autoriciclaggio) si trovavano all’estero quando, invece, erano rimasti nella sua disponibilità in Italia, è evidente che il suddetto falso non può avere generato (come provento) quegli stessi beni che erano già presenti nel patrimonio del ricorrente e che erano già stati dichiarati (sebbene, falsamente, come collocati all’estero).
Da qui l’inconfigurabilità del delitto di autoriciclaggio.
Ai fini della soluzione della questione, è opportuno introdurre brevi nozioni sia sull'istituto della cd. volontari disclosure sia del reato di autoriciclaggio.
LA VOLUNTARY DISCLOSURE
La Collaborazione volontaria (cd. Voluntary Disclosure), introdotta con la L. n. 186/2014, è una procedura con cui il contribuente, autodenunciandosi, dichiara al fisco "attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato" non indicate nella dichiarazione (art. 5 quater/1 lett. a): cd nero transfrontaliero), ovvero redditi occultati in Italia (art. 1/2-3-4 Legge cit.: cd. nero domestico).
Gli effetti della corretta presentazione dell'autodenuncia sono molteplici, ma, i più importanti possono essere così riassunti:
a) regolarizzazione della propria situazione patrimoniale e reddituale;
b) corresponsione integrale delle imposte e degli interessi relativi ai redditi non dichiarati;
c) riduzione delle sanzioni amministrative applicabili;
d) non punibilità dei reati: dl) di omessa o infedele dichiarazione, di dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, di omesso versamento di ritenute certificate, di omesso versamento IVA; d2) di cui agli artt. 648 bis, 648 ter e 648 ter 1 c.p..
Ove la dichiarazione sia infedele, l'Agenzia delle Entrate esercita nuovamente il suo autonomo potere di accertamento con la revoca ex tunc dei suddetti benefici (art. 5 quinquies/10).
IL DELITTO DI AUTORICICLAGGIO
Il reato di autoriciclaggio è configurabile ove l'agente che abbia commesso un delitto non colposo presupposto, abbia, successivamente, impiegato, sostituito, trasferito, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
Quindi, gli elementi materiali del suddetto delitto sono:
a) la commissione di un delitto non colposo;
b) che dal suddetto delitto sia derivato un provento (denaro, beni o le altre utilità) economicamente apprezzabile;
c) che il suddetto provento sia stato reinvestito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative;
d) che l'operazione di reinvestimento abbia costituito un ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del provento del reato presupposto.
Dalla commissione del reato presupposto, l'agente deve avere conseguito "un provento" di natura economica (denaro, beni, o altre utilità), che abbia "riciclato" al fine di non rendere riconducibile quella ricchezza al delitto compiuto.
Proprio questa peculiarità (e cioè l'incremento del patrimonio come effetto diretto del delitto commesso), aveva fatto sorgere il problema della configurabilità del delitto di autoriciclaggio nel caso in cui il reato presupposto fosse costituito da un reato tributario che, di per sè, non determina alcun accrescimento del patrimonio dell'agente.
LA SOLUZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La soluzione da fornire al quesito proposto non può che articolarsi in termini negativi.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’eventuale integrazione del reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero previsto dall’art. 5-septies del D.L. n. 167/1990, forniti dal contribuente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (c.d. “Voluntary Disclosure”, introdotta con la L. n. 186/2014), non possa generare come “provento autoriciclato” quegli stessi beni che erano già esistenti e dichiarati sebbene falsamente, come collocati all’estero (Cass. pen., Sez. II, 1 aprile 2019, n. 14101)
Il preteso reato presupposto (il falso) non ha generato (e non può generare) alcun provento, in quanto i beni oggetto della falsa dichiarazione fanno già parte del patrimonio del contribuente e sono già stati dichiarati nell’ambito della Collaborazione volontaria.
Se il reato di falso consiste nell’avere il contribuente falsamente comunicato nella relazione di accompagnamento alla Voluntary Disclosure che certi beni (oggetto dell’eventuale autoriciclaggio) si trovavano all’estero quando, invece, erano rimasti nella sua disponibilità in Italia, è evidente che il suddetto falso non può avere generato (come provento) quegli stessi beni che erano già presenti nel patrimonio del ricorrente e che erano già stati dichiarati (sebbene, falsamente, come collocati all’estero).
Da qui l’inconfigurabilità del delitto di autoriciclaggio.