mar262020

Il proprio domicilio durante il COVID19. Non sempre un luogo sicuro

Una pandemia è una situazione estremamente delicata che pone gli Stati di fronte a scelte importanti e innovative.
L’obiettivo principale da perseguire è ovviamente garantire l’incolumità dei cittadini, evitando il dilagare del virus.
Non a caso, l'imperativo ripetuto come un mantra dalle istituzioni è di rimanere a casa.
Lo scopo del presente contributo è quello di riflettere su alcune particolari situazioni in cui vi sono persone la cui permanenza forzato nel loro stesso domicilio è un rischio.
Una riflessione, rivolta prima di tutto a noi singoli cittadini, ma anche per le istituzioni affinché non si dimentichino i soggetti più deboli.

È evidente che se vige l’obbligo di rimanere a casa, il primo pensiero è rivolto a chi di casa è rimasto privo.
Ai senza tetto e ai migranti usciti dalla rete di accoglienza. Soggetti ad alto rischio per le caratteristiche del loro stile di vita, abituati a trovare ripari di fortuna senza la possibilità di scaldarsi e di lavarsi. In tale prospettiva risulta impossibile rispettare anche le più basilari misure di prevenzione, ad esempio lavarsi le mani. A questo si deve aggiungere la difficoltà incontrate dalle associazioni che sono attive e operative per portare tutto l’aiuto necessario ai senza tetto. Le misure in materia di distanza fra persone e la limitazione nei movimenti hanno fortemente inciso sul numero dei volontari, sulla riduzione dei posti letto e delle mense e infine ha portato alla chiusura di molti luoghi di aiuto. Non vi è nessuna normativa che disciplina questa situazione, lasciando le associazioni in una situazione d’incertezza. La Protezione Civile ha demandato la competenza alle Regioni e ai Comuni. Adesso si attendono i provvedimenti.

Ci sono, poi, i detenuti costretti a trascorrere questa emergenza negli istituti penitenziari. Inutile ricordare che le carceri sono da tempo vicine al collasso, sovraffollate e con personale ridotto. Il coronavirus diventa per queste criticità una cassa di risonanza. Il Governo prima ha previsto la sospensione dei permessi premio e i colloqui con i familiari in via telematica, poi per risolvere la piaga del sovraffollamento, ha stabilito la concessione della detenzione domiciliare per le pene, anche residue, non superiori ai 18 mesi (con eccezioni per alcuni tipi di reati e tipologie di detenuti) e l’aumento delle licenze premio per i detenuti in regime di semilibertà.
Queste misure però non spengono le numerose perplessità. In primis la concessione delle licenze e dei domiciliari non è automatica: vi è l’obbligatorio passaggio per i tribunali di sorveglianza che devono valutare le singole posizioni dei detenuti, aprendo di conseguenza un’istruttoria. Tale dato pone l’attenzione sulle tempistiche con cui i detenuti otterranno le misure previste e il sovraccarico di richieste ai giudici competenti. Inoltre, non si è fatta alcuna menzione sulle modalità operative per garantire le quarantene e le cure all’interno degli istituti penitenziari.
In altri casi il problema non è la mancanza di una casa ma la situazione che si vive all’interno delle mura domestiche. Non si possono dimenticare le vittime di maltrattamenti e violenza familiare: donne e minori. In particolare, quest’ultimi che non solo assistono alle violenze ma che sono essi stessi oggetti degli abusi. A causa delle nuove restrizioni la casa diventa una prigione dalla quale la fuga diventa difficile se non impossibile, infatti la convivenza forzata col maltrattante non permette di poter chiedere aiuto all’esterno, acuendo la sofferenza e la paura delle vittime. Ciò è confermato dai dati dei centri e delle associazioni antiviolenza, i quali continuano in questa emergenza ad essere attivi e tenere alta l’attenzione su questo tema caldo, che riscontrano una drastica diminuzione delle telefonate e delle denunce.

Ci sono poi i disabili e le loro famiglie per cui la casa diventa il campo di una battaglia contro numerose avversità. Anche in questo caso la normativa poco prevede. Certo, sono stati aumentati i giorni della legge 104, ma i disagi permangono. Pensiamo al fatto che vengono garantiti i servizi sanitari indifferibili ma sono stati bloccate le assistenze domiciliari e le attività semiresidenziali. Ciò significa che i disabili sono totalmente a carico delle famiglie, lasciate sole per tutto il giorno senza la possibilità di riposarsi e creando una situazione di sconforto e frustrazione. Inoltre, ci sono patologie che necessitano di socializzazione, di attività all’aperto e di una routine giornaliera, elementi imprescindibili della cura. È evidente che questa quotidianità è profondamente modificata dalle misure di prevenzione, influendo negativamente sulla salute e sui rapporti famigliari. Infine una particolare attenzione va riservata ai bambini con disabilità che sono i più colpiti, non possono andare a scuola con i loro compagni e allo stesso tempo sono svantaggiati da una didattica telematica, che non riesce a rispondere alle loro esigenze di apprendimento.

(contributo della Dott.ssa Anna Bertoncello)




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